Nata nella prima metà del XIV secolo, per volontà di Niccolò Acciaiuoli (1310- 1365), appartenente ad una delle famiglie di banchieri più ricche di Firenze e ambasciatore presso la Corte Angioina del Regno di Napoli, la Certosa del Galluzzo è un complesso monastico situato a sud della città sulla sommità del Monte Acuto e circondato dai torrenti Greve ed Ema. Dedicata al martire S. Lorenzo (III secolo d. C.), è stata completata e abbellita fi no al XVI secolo, anche se altri pregevoli lavori sono continuati fino al XVIII secolo e oltre. Vi lavorarono, tra gli altri, Orcagna e Giovanni della Robbia e fu soprattutto il rifugio di Jacopo Carucci, detto il Pontormo, in seguito alla peste che colpì Firenze nel 1523. Durante il suo soggiorno, Pontormo dipinse gli affreschi del Chiostro Grande, dedicati alla Passione di Cristo, ed oggi conservati nella pinacoteca di Palazzo Acciaiuoli che domina l’ingresso della Certosa. Il Pontormo, cessata la peste e ritornato a Firenze, fu sempre legatissimo alla Certosa del Galluzzo in cui tornava a risiedervi per trovare pace e silenzio alla sua anima inquieta e tormentata. Il Palazzo Acciaiuoli, iniziato nel 1356 e mai completato nel suo progetto ispirativo, costituisce la novità della Certosa del Galluzzo rispetto alle Certose nate, a quel tempo, nel territorio italiano. Voluto espressamente da Niccolò Acciaiuoli, per trascorrervi la sua vecchiaia, fu denominato anche “Palazzo agli Studi”. Nell’incipiente fermento dell’Umanesimo fi orentino del XIV secolo, infatti, l’Acciaiuoli, sensibile agli interessi culturali del momento, voleva accanto alla Certosa uno “studio” per studenti laici in teologia, diritto canonico e filosofia. Il progetto, alquanto contrario allo spirito monastico certosino, non ebbe alcun seguito, ma rappresenta un indizio eloquente della volontà del fondatore della Certosa di Firenze di farne un luogo, oltre che di grande preghiera contemplativa, anche di studio e di promozione degli ideali umanistici e culturali del suo tempo.
La Certosa prende il nome dall’Ordine dei Certosini, fondato da San Bruno (1030-1101) intorno al 1084, vicino a Grenoble con altri sei compagni. Il luogo della primitiva fondazione fu denominato La Grande-Chartreuse ed era situato al centro di una valle profonda e difficilmente accessibile che ancora oggi stupisce per la forza e la bellezza che esprime. Da allora tutte le fondazioni dell’Ordine furono chiamate Certose e sorgono in luoghi lontani dai centri abitati per sottolineare l’ideale della vita certosina: la conoscenza di Dio nella solitudine. Tuttavia, l’originalità di questo ideale consiste in un genere monastico di vita nuovo e affascinante che è a metà strada tra l’eremitismo e la vita di una vera e propria comunità religiosa. Così lo spazio conventuale è rigorosamente e gerarchicamente definito per consentire l’incontro tra “vita solitaria” e “vita in comune”. Dall’insieme degli edifici del monastero, in effetti, si staccano la chiesa, anello di congiunzione tra cielo e terra, e la torre dell’orologio il cui suono scandisce la preghiera comune e liturgica dei monaci.
Infatti, momento essenziale della vita spirituale del monaco-eremita è la “scuola” della sua cella, tra le cui mura, durante l’arco della giornata, egli potrà dedicarsi alla preghiera, alla meditazione della Sacra Scrittura e al lavoro manuale. Tuttavia, nel suo difficile cammino verso il rapporto e il dialogo con Dio, il certosino non è lasciato a sé stesso dal momento che egli fa parte di una vera comunità che trova il suo spirito nella preghiera “corale” dell’ufficio divino, il pasto in comune in determinate feste e solennità dell’anno liturgico, la riunione capitolare per decidere l’andamento spirituale e pratico dell’intera comunità, la libera obbedienza in ogni istante alle direttive del priore del monastero.
Come ogni altro complesso monumentale, anche la Certosa di Firenze ha conosciuto, nel corso della sua lunga vita, le alterne vicissitudini della storia. Nel giugno del 1798 giungeva alla Certosa papa Pio VI in viaggio verso il suo esilio in Francia per volontà di Napoleone Bonaparte. Vi rimarrà per nove mesi ospite nella foresteria. E lo stesso Napoleone, nel 1810, sopprimerà il monastero e la comunità certosina. Soltanto nel 1819, dopo la caduta di Napoleone, i certosini vi potranno ritornare per ristabilire la vita in comune. Nel frattempo, anche papa Pio VII è stato ospite della Certosa: dovendosi recare in Francia, per incoronare Napoleone imperatore dei francesi, – dopo il concordato che metteva fine al conflitto con la Francia “rivoluzionaria” -, fu qui ospite per un breve periodo. Ancora oggi, gli “appartamenti del papa” costituiscono un luogo significativo della Certosa di Firenze che speriamo di restaurare e rendere visitabile dal pubblico.
Dopo l’unità d’Italia (1860), la legge del governo italiano del 1866, che sopprimeva gli ordini religiosi, colpì anche la comunità certosina. I monaci, questa volta, si appellarono al re d’Italia che concesse loro di rimanere come custodi della Certosa – una vera eccezione in quel momento – che venne così dichiarata monumento nazionale, ancora oggi sotto la tutela della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali per le province di Firenze e Pistoia.
“Dedicarsi a Dio non è fuggire dalla vita o dalla realtà.
È amare la vita, ma con lo sguardo di Dio.”
Un Certosino
Tra i priori della Certosa che si sono succeduti nel tempo,
c’è da segnalare particolarmente la fi gura di don Leonardo
Buonafé che fu alla guida della comunità certosina dal 1495 al 1501, allorché divenne “spedalingo”, cioè responsabile, dell’Ospedale di Santa Maria Nuova e in seguito vescovo di Cortona. Spirito molto aperto e in contatto con i maggiori artisti attivi a Firenze in quegli anni, il Buonafé fu certamente la personalità più signifi cativa di tutti i priori che si sono succeduti alla Certosa. Mise mano, infatti, alla ristrutturazione generale del complesso monastico e dotò la Certosa di notevoli opere d’arte. Oltre al fatto che affiderà al talento di Santi Buglioni di eseguire il fregio dei Beati misericordes per l’Ospedale Ceppo di Pistoia (recentemente e splendidamente restaurato), dove lo stesso Buonafé è raffigurato in abiti certosini, quasi ad attestare la fedele devozione al suo ordine, rimasta intatta anche dopo l’assunzione di incarichi ecclesiastici fuori dal monastero. Inoltre altri lavori di ristrutturazione e abbellimento egli fece eseguire nella Pieve di S. Leolino a Panzano che era, a quel tempo, sotto la giurisdizione dell’Ospedale di Santa Maria Nuova.
La dedizione alla Certosa di Firenze di Leonardo Buonafé è dimostrata, d’altronde, dal fatto che egli scelse la sala del capitolo come luogo della sua sepoltura volendo dire, con questa scelta, la volontà di rimanere sempre partecipe dell’ideale della vita certosina. Il monumento funebre, commissionato da lui a Francesco di Giuliano da Sangallo, è ancora nella sala del capitolo e può essere definito senza alcun dubbio come l’opera più matura dello scultore che rivela le sue eccellenti doti di ritrattista (Giovanni Leoncini).
Nel 1958 i Certosini dovettero lasciare la Certosa, essendo ormai ridotti a poche unità, per trasferirsi nella Certosa di Farneta nei dintorni di Lucca. A sostituirli verranno i Monaci Cistercensi di Casamari (Frosinone) la cui regola di vita, più aperta al “mondo”, permetterà un maggiore inserimento della Certosa nel panorama culturale e spirituale di Firenze. A differenza dei certosini, infatti, la spiritualità monastica cistercense, nata nel solco della Regola di san Benedetto, ha una forte accentuazione comunitaria e prevede, oltre alla contemplazione del mistero di Dio, anche il lavoro creativo e di testimonianza di promozione umana. Come ha scritto André Louf, grande maestro spirituale del nostro tempo, l’impegno del monaco cistercense “si colloca, senza intermediario, in quel punto preciso in cui il mondo deve nascere per Dio”. Così, per sessant’anni, i monaci cistercensi di Casamari hanno animato spiritualmente la Certosa di Firenze con molte iniziative, tra cui celebre quella del restauro del libro, e soprattutto aprendola alle visite turistiche. Tutto questo ha dato alla Certosa una maggiore visibilità. Tuttavia, venendo a mancare le condizioni per continuare nel loro impegno, dal 14 dicembre 2017, memoria di san Giovanni della Croce, l’Arcidiocesi di Firenze ha preso la custodia della Certosa, affidandola alla Comunità di S. Leolino.
La Comunità di S. Leolino, nasce a Firenze nel 1986 e dal 1997 vive nella Pieve di S. Leolino a Panzano in Chianti – da cui prende il nome – nella diocesi di Fiesole. È formata da sacerdoti e laici, che vivono nella fraternità e nella vita in comune la loro offerta a Dio e alla Chiesa a servizio di una nuova evangelizzazione della cultura attraverso la cultura, e secondo lo spirito del concilio Vaticano II. La sua Regola di Vita, infatti, è caratterizzata non solo dalla preghiera, con al centro la Divina Liturgia e l’ascolto della Parola di Dio, ma anche dal lavoro di studio e di insegnamento. È dunque una comunità che cerca di unire la vita contemplativa con la vita apostolica e missionaria. In questo spirito promuove iniziative spirituali e culturali in cui la ricerca della bellezza – dell’arte, della musica e della letteratura – possa unirsi a quella sapienza spirituale che porti ad un vero e rispettoso incontro tra la presenza di Dio e le attese spirituali dell’uomo contemporaneo.
La Comunità così dirige da anni l’Istituto “Marsilio Ficino” (scuola media, liceo classico e liceo scientifico), nonché la Nuova Scuola Serristori (scuola materna ed elementare) di Figline Valdarno, su incarico della Diocesi di Fiesole, e dove alcuni suoi membri sono anche insegnanti di materie umanistiche. L’attività di insegnamento, inoltre, viene svolta anche alla Gonzaga University di Firenze. Un elemento importante della Comunità è la presenza nel dibattito culturale del nostro tempo attraverso la rivista “Feeria. Rivista per un dialogo tra Esodo e Avvento” e la casa editrice Edizioni Comunità di S. Leolino. L’ insediamento della Comunità di S. Leolino nella Certosa di Firenze non vuole dunque far dimenticare i secoli di vita monastica che l’hanno avuta come protagonista, bensì dare un nuovo slancio di spiritualità e di cultura ad un complesso monumentale così carico di vita, per rispondere alle mutate situazioni del nostro tempo.